Gli USA hanno lanciato il 21 giugno un imponente attacco aereo sull’Iran. Nel momento in cui chiudiamo il giornale, a poche ore dai bombardamenti, non possiamo sapere quali saranno gli sviluppi degli eventi. Il nostro appello sarà comunque lo stesso, blocchiamo la logistica della guerra, le strutture militari italiane, USA e NATO che in questo paese sono base per le guerre nel mondo. Siamo certe che solo il moltiplicarsi e l’estendersi delle iniziative antimilitariste contro la guerra e contro la produzione e il trasporto delle armi può inceppare la grande macchina della morte che gli stati e i grandi gruppi capitalisti alimentano innalzando la tensione internazionale e riversando nel riarmo fiumi di denaro.
Siamo di fronte ad un’ulteriore accelerazione della corsa verso la guerra totale in cui ci stanno gettando le grandi potenze mondiali, sia che l’attacco statunitense porti ad aprire nelle prossime settimane un nuovo fronte di guerra, sia nell’improbabile prospettiva che questa dimostrazione della potenza distruttiva delle armi strategiche USA porti in qualche modo ad una tregua, con o senza un cambio di regime a Teheran.
Secondo le dichiarazioni dei governi riprese dai media, sarebbero stati colpiti tre diversi obiettivi connessi al programma nucleare iraniano: l’impianto di arricchimento dell’uranio di Fordow, l’impianto nucleare di Natanz, e il centro di ricerca di tecnologia nucleare di Isfahan.
Il generale dell’aeronautica Dan Caine, capo dello stato maggiore congiunto degli USA ha dichiarato in una conferenza stampa che nell’operazione sono stati coinvolti più di 125 velivoli militari, tra cui dozzine di aerei cisterna di rifornimento in volo. I 7 bombardieri B-2 sarebbero decollati dalla base Whiteman in Missouri, avrebbero sorvolato l’Atlantico e il Mediterraneo, passando sopra la Sicilia, sarebbero stati allora affiancati da numerosi caccia di quarta e quinta generazione che scortandoli avrebbero colpito alcune installazioni antiaeree iraniane. Mentre i B-2 eseguivano il bombardamento dei siti di Fordow e Natanz con 14 bombe perforanti GBU-57 da 14 tonnellate ciascuna, da un sommergibile USA schierato probabilmente nell’Oceano Indiano sono stati lanciati più di due dozzine di missili tomahawk sul sito di Isfahan. Un’operazione di rilevanza strategica che, ancora secondo quanto dichiarato dai vertici militari statunitensi, sarebbe stata preparata per mesi. Ciò non fa che confermare quanto affermavamo nel numero precedente di Umanità Nova riguardo all’inizio dei bombardamenti israeliani verso l’Iran “Questo attacco non sarebbe stato possibile senza il supporto delle forze armate USA: Israele si conferma il killer a cui l’amministrazione USA arma la mano”. Anzi, probabilmente i bombardamenti israeliani servivano proprio a spianare la strada al bombardamento statunitense, che il presidente USA Trump ha definito «spettacolare» presentandolo come un messaggio al mondo, per dimostrare di poter distruggere anche i bunker nelle montagne dove possono nascondersi, oltre agli arsenali, anche gli stati maggiori e i leader di governo.
L’agenzia Askanews riporta che il ministro degli esteri Tajani avrebbe detto «L’Italia non è stata informata prima dell’attacco, anche se era nell’aria. Non sono per ora state richieste basi militari in Italia dagli Usa. E non sono partiti aerei dall’Italia». Se la citazione è stata riportata correttamente una dichiarazione del genere appare ridicola. Un’operazione di tali dimensioni non può avvenire senza che vi siano informazioni, specie verso le autorità di un paese il cui spazio aereo viene attraversato dall’operazione. Ricordiamoci che nel 2011 l’Italia partecipò al bombardamento della Libia con i propri aerei allo stesso livello di Regno Unito e Francia, compiendo azioni di bombardamento e di eliminazione di postazioni antiaeree. Il governo allora guidato da Berlusconi dichiarò all’epoca che l’Italia non aveva partecipato alle operazioni, per timore che si sviluppassero proteste contro l’intervento. Una notizia del 22 giugno, passata in secondo piano, ma riportata chiaramente dall’ANSA è che il ministro della difesa Crosetto ha ridefinito le modalità di comunicazione della Difesa, assegnando importanti competenze allo Stato maggiore della Difesa, al Centro Operativo Vertice Interforze e all’Ufficio Pubblica Informazione e Comunicazione della Marina Militare. Il ministro infatti, riporta l’ANSA, «ha autorizzato alla comunicazione con i media il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano, il comandante del Covi, il generale Giovanni Maria Iannucci, e il capo dell’Upicom, il generale Diego Fulco. Sarà Upicom, con il gabinetto del ministro e lo Stato maggiore della Difesa, a coordinare il gruppo al quale parteciperanno anche esperti di comunicazione strategica e operativa con il compito di interfacciarsi con i giornalisti “con norme di linguaggio chiare e definite” e di aggiornare i media sul lavoro dello stesso ministro. L’obiettivo è anche quello di informare più correttamente possibile in un momento che viene definito “molto delicato”». In questo modo la comunicazione pubblica del ministero è messa nelle mani dell’autorità militare, è chiaramente un altro passo verso l’instaurazione di uno stato di guerra, almeno per ora non dichiarato ufficialmente.
L’Italia purtroppo è coinvolta nel bombardamento USA in Iran, così come è coinvolta nei recenti bombardamenti israeliani, nel genocidio a Gaza e in Palestina, nella guerra in Europa Orientale. In Italia vi sono numerose basi statunitensi, tra cui due basi aeree, Aviano e Sigonella, che hanno avuto un ruolo di primo piano nelle guerre degli ultimi decenni, in particolare nei Balcani ed in Medio Oriente. Inoltre in Sicilia è presente una delle quattro antenne del MUOS esistenti a livello globale, che garantiscono il sistema di comunicazioni satellitari militari agli USA. È chiaro che queste strutture non possono non essere coinvolte in simili operazioni. Ci sono movimenti radicati nei territori che si oppongono a queste basi, come ci sono lotte tra i lavoratori dei trasporti per fermare i carichi militari. Facciamo sì che queste lotte si estendano a più larghi settori della società. Fermiamo la guerra.
Dario Antonelli